Attrazioni

San Miniato e Palaia | Il tartufo

Se pensiamo al tartufo nella provincia pisana, lo associamo subito a San Miniato e alla celebre Mostra Mercato Nazionale del Tartufo Bianco, evento che per tre settimane vede il borgo animarsi con espositori locali che presentano i propri prodotti e chef stellati all’opera. 

Non solo San Miniato

Dovete sapere però che non solo San Miniato vive di tartufo: anche Corazzano, Palaia, Ponte a Egola, Cigoli organizzano feste, sagre, degustazioni, caccia al tartufo in onore di questo tesoro proteico, di cui le terre pisane sono ricche. Valorizzare il tartufo significa, per questi piccoli paesi, mettere in rilievo anche altri prodotti tipici del territorio, farli conoscere e apprezzare a chi è attratto principalmente dal tartufo. Tutto l’anno è scandito da eventi, anche se la maggior parte si concentrano tra ottobre e novembre.

Ogni anno a gennaio si apre la cerca al tartufo Bianchetto (Tuber Borchii). Il periodo di raccolta prende il periodo invernale e primaverile (fino al al 30 aprile). La sua forma e colore sono simili al bianco pregiato dell’autunno-inverno, però cresce in dimensioni più piccole. Per i tartufai è un prodotto interessante perché è il primo a cui ci si rivolge per l’addestramento dei cani, visto che il Bianchetto cresce in grandi gruppi e più in superficie.


Cane da tartufo
Un lagotto (cane da tartufo) per le vie di Palaia.

Il tartufaio e il cane da tartufo

Si potrebbe pensare che tra tartufo bianco e tartufo nero ci siano molte differenze, ma in realtà la composizione chimica è identica. Il tartufaio deve essere bravo a scegliere il momento giusto per la raccolta, deve conoscere per filo e per segno il proprio territorio e, soprattutto, deve avere un rapporto speciale con chi fiuterà per lui i tuberi più nascosti, il proprio cane. Il tartufaio lo addestra giocando con lui in modo che la ricerca del tartufo diventi a sua volta un’attività ludica.

La ricerca è una vera e propria caccia al tesoro: l’animale, seguito dal padrone, si addentra nei boschi di querce, di lecci, di pioppi finché il suo fiuto non viene attratto dalla profumata pepita nascosta sotto terra. Il padrone, fino a quel momento silenzioso e attento osservatore dei movimenti del cane, gli si avvicina e raccoglie il tartufo, premiandolo l’animale con un biscotto.


Il tartufo attraverso i secoli

Già i Babilonesi dimostrarono di apprezzare “questi misteriosi doni della natura”; il faraone Cheope ne andava pazzo e gli antichi romani lo utilizzarono. Costante era l’idea che il tartufo fosse un dono della terra, misterioso, dalle proprietà mediche e afrodisiache. Naturalmente non si conosceva la sua composizione chimica, ma soprattutto non venivano ancora consumate le due varietà più apprezzate ai nostri giorni, il tartufo bianco e il tartufo nero.

Seppur visto come alimento demoniaco nei primi secoli del Medioevo, l’apprezzamento di questo pregiato tubero si perpetuò nei secoli: lo amarono Petrarca, Lucrezia Borgia, Giulio II, ma solo dal Settecento iniziò ad essere studiato in modo scientifico e tuttora vengono promosse ricerche per descriverne le caratteristiche.

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