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L’ex Ospedale Psichiatrico di Volterra

Alla periferia orientale della città di Volterra, immersi in una vegetazione rigogliosa, si ergono i resti dell’ex ospedale psichiatrico della città, da alcuni anni accessibile a tutti quei visitatori che abbiano voglia di cimentarsi con un itinerario inconsueto, di grande interesse storico, ma anche, e soprattutto, di straordinario impatto emotivo. Le origini della struttura risalgono alla fine dell’800, quando il Comune di Volterra cedette alla Congregazione di Carità i locali dell’antico convento di San Girolamo e qui fu realizzato un primo “asilo dementi” che, nel giro di qualche decennio, si ingrandì sensibilmente fino ad ospitare  tra il 1937 e il 1942, periodo della sua massima espansione, più di 4000 degenti, ditribuiti su circa 20 padiglioni in un’area di 400.000m².

Ma chi erano gli internati nel Frenocomio di San Girolamo? Tutte persone realmente affette da disturbi psichici? No, affatto. Oltre ai malati di mente, l’ospedale accoglieva indigenti, emarginati, alcolizzati, tutti individui ritenuti “diversi” in quanto non in linea con i rigidi canoni morali del tempo. Numerose erano le “pazienti”: mogli adultere o ripudiate, donne troppo emancipate, intollerabili in una società rigidamente patriarcale, ma anche ragazze madri, che venivano ricoverate con i loro figli, ai quali almeno così potevano assicurare vitto e alloggio. Rifiutati dalle loro stesse famiglie poichè fonte di imbarazzo e vergogna, queste persone spesso terminavano la loro triste esistenza nel manicomio per poi trovare sepoltura nel vicino cimitero di Sanfinocchi, dove una semplice e anonima croce di legno, priva di qualsiasi indicazione anagrafica, contrassegnava ogni tomba.

Non solo luogo di dolore e solitudine, il Frenocomio di Volterra fu anche un interessante laboratorio in cui, con l’avvento alla direzione sanitaria di Luigi Scabia, all’inizio del ‘900, si tentò un approccio assolutamente innovativo alla malattia mentale attraverso l’applicazione della cosiddetta ergoterapia, ovvero “terapia del lavoro”, nella convinzione che l’impiego dei degenti in attività manuali fosse funzionale ad una loro riabilitazione. Furono, pertanto, gli stessi ospiti della struttura a costruire gran parte dei numerosi padiglioni e laboratoti (panificio, lavanderia, falegnameria, ecc…) che componevano questa sorta di “villaggio dei matti”, concepito come una comunità autosufficiente, ma nel contempo aperta verso il territorio circostante. Gli internati, qualora le loro condizioni sanitarie lo permettessero, potevano uscire dall’ospedale, passeggiare nel centro del borgo e lavorare in città .   

Camminando tra gli edifici in rovina del manicomio si ha la sensazione di compiere un viaggio a ritroso nel tempo. Sbirciando tra i vetri rotti delle finestre del padiglione Ferri, il reparto criminale, sembra di poter ancora sentire le urla dei malati gravi e pericolosi, quelli che necessitavano di contenzione, mentre, nello stesso fabbricato, i degenti più “tranquilli” potevano giocare a carte, seduti sui tavoli del cortile.

Proprio qui, sui muri esterni del padiglione, si può ammirare il tesoro più prezioso del San Girolamo: un enorme graffito, capolavoro dell’Art Brut, realizzato da un internato, Fernando Nannetti, che per dieci, lunghi anni incise sulla pietra i suoi sogni e il suo dolore; si fece portavoce di tutta quell’umanità dolente e reietta confinata negli istituti e trovò nell’espressione artistica una forma di libertà e di riscatto.

Come una farfalla libera sono io…tutto il mondo faccio sognare...” recita un passo del “libro di pietra” di NOF4, pseudonimo con cui Fernando volle definirsi.

Chi sceglie di scoprire l’ex ospedale psichiatrico di Volterra contribuisce a far sì che quella farfalla continui a volare, per sempre.