Con i versi dell’Inferno della Divina Commedia, Pisa è rimasta nella storia come luogo ostile a Dante Alighieri. In realtà la città ha avuto punti di contatto col Sommo Poeta che vi dimorò dal 1312 per quattro anni dopo un breve periodo a Genova. In quel momento Pisa era infatti rimasto uno tra i pochi posti sicuri per il ghibellin fuggiasco. Qui compose “De Monarchia”, opera redatta in latino e rivolta ad un pubblico di dotti.
Ahi Pisa, vituperio de le genti
del bel paese là dove ‘l sì suona,
poi che i vicini a te punir son lenti,
muovasi la Capraia e la Gorgona,
e faccian siepe ad Arno in su la foce,
sì ch’elli annieghi in te ogne persona!Inferno, canto XXXIII, vv. 79 – 84
Piazza dei Cavalieri
Il canto è ambientato nel IX cerchio dove si trovano i traditori come il Conte Ugolino della Gherardesca che a fine Duecento ricopriva come ghibellino importanti ruoli politici, tra cui quello di comandante navale e per questo accusato di tradimento nella disfatta della Meloria. In seguito parteggiò per i Guelfi, permettendo che si insediassero nel governo pisano ghibellino, acerrimo nemico di Firenze.
Dante vuole mostrarci cosa può causare la malvagità e l’odio umano. Un padre costretto a veder morire di fame con sé i propri figli, senza poter dare alcun conforto: è questo il peggiore Inferno. Il Conte fu infatti rinchiuso insieme ai suoi quattro figli nella Torre della Muda (o della Fame) che si trova nella Piazza dei Cavalieri. Il nome deriva dal fatto che vi erano rinchiuse le aquile allevate dalla Repubblica di Pisa durante il periodo della muta delle penne. Una lapide ricorda il triste episodio, mentre è ancora visibile il contorno di pietra della torre a sinistra dell’arco centrale.
Marina di Pisa
“…e faccian siepe ad Arno in su la foce”: si riferisce alla foce dell’Arno, dove oggi si trova la località balneare di Marina di Pisa , a soli 12km dalla città. Vale la pensa fare un salto per vedere dove l’Arno va a morire in mare dopo avere attraversato tutta la Toscana per 240km, godere della bellezza di un panorama da dove si vedono i profili del Monte Pisano e delle Alpi Apuane. Qui troviamo il porto turistico, un parco avventura, gli edifici in stile Liberty sul lungomare protetto da una barriera di scogli.
Vicopisano
Uscendo da Pisa, stavolta in direzione del Monte “per cui i Pisani veder Lucca non ponno”, troviamo la Rocca di Caprona, su uno sperone roccioso a strapiombo sul paese omonimo. Quella odierna è il rifacimento ottocentesco della fortificazione degli Upezzinghi, a guardia della pianura, e citata nel XXI canto dell’Inferno (versi 94-96):
“così vid’io già temer li fanti
ch’uscivan patteggiati di Caprona
vegendo sé tra nemici cotanti”
Con queste parole Dante Alighieri rievoca il vittorioso assedio dei Fiorentini nella battaglia del 1289 contro Vicopisano, una delle più importanti roccaforti pisane e oggi caratteristico borgo murato con 13 case torri su cui spicca la Rocca del Brunelleschi. Alla battaglia prese parte lo stesso poeta, arruolato tra i quattrocento cavalieri al seguito di Nino Visconti. I versi sono un esplicito riferimento alla paura che dopo la resa hanno le truppe pisane scrutando il grande numero di soldati fiorentini.
San Miniato
“Io son colui che tenni ambo le chiavi
del Cor di Federigo, e che le volsi,
serrando e disserrando, sì soavi
che dal secreto suo quasi ogn’uom tolsi:
fede portai al glorioso offizio,
tanto ch’i ne perde’ li sonni e’ polsi.”
Ci spostiamo adesso a San Miniato. Nel XIII Canto dell’Inferno, nella selva dei suicidi, Dante cita l’episodio di Pier delle Vigne, giurista e rimatore in lingua volgare, ma anche uno tra i più autorevoli consiglieri dell’imperatore Federico II. Accusato di tradimento nel 1248, venne gettato in carcere all’interno della attuale Rocca e accecato. In seguito morì sbattendo volontariamente la testa contro la parete della cella oppure gettandosi dall’alto della Rocca stessa.
Nella sua Commedia, Dante non poteva trascurare una vicenda oscura ma nota negli ambienti del tempo, dandone una versione condivisa da vari commentatori. Pier delle Vigne sarebbe stato vittima dell’invidia dei contemporanei, sommerso dagli inevitabili odi che si erano cumulati a carico del potente braccio destro dell’Imperatore.
“L’animo mio, per disdegnoso gusto,
credendo con morir fuggir disdegno,
ingiusto fece me contra me giusto”
Questo avvenne a San Miniato, allora chiamata “al tedesco” perché città imperiale, quindi ghibellina, per cui otteneva numerosi privilegi.
La posizione della fortezza consentiva un controllo strategico sul transito tra Firenze e Pisa e sulla Via Francigena. Insieme alla Torre di Matilde, attuale campanile della Cattedrale, rappresenta l’unico resto della possente fortezza medievale, che si può vedere in un affresco in un particolare della pala d’altare nella chiesa di San Francesco, oppure a Roma nei Corridoi Vaticani.
INFO UTILI:
DA VEDERE:
Nella Cattedrale in Piazza dei Miracoli è sepolto l’imperatore Arrigo VII di Lussemburgo, citato più volte nella Divina Commedia. Scopri di più.
PROPOSTE/OFFERTE
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DA SAPERE:
“Poscia, più che ‘l dolor, potè ‘l digiuno”: questo verso che chiude il racconto è uno dei più celebri e forse il più enigmatico che sia stato scritto. Dante ha voluto lasciare il mistero: Ugolino, morto e vinto dalla fame, si mangiò i corpi dei figli, oppure morì di fame anche lui, oltre che dal dolore?
Nessuno in realtà ha mai saputo cosa veramente sia successo all’interno della Torre della Muda. Si sa solo che dopo otto mesi la porta della torre fu aperta e vennero trovati i cinque cadaveri tutti smangiucchiati, forse dai topi, ma nacquero credenze popolari che andarono oltre.